Cosa significa “siciliano standard”?

Quando parliamo di siciliano standard le reazioni delle persone sono le più variegate: sdegno, curiosità, incomprensione, euforia. Ma che cosa significa siciliano standard? Qual è l’accezione con cui la usa la Cademia Siciliana? Dobbiamo innanzitutto capire che cosa significa l’espressione “lingua standard” e analizzarla in rapporto a quella che è la realtà della vita delle lingue: per farlo prenderemo le mosse dall’italiano, un sistema linguistico che è noto a noi tutti.

Partiamo da un presupposto fondamentale: le lingue non sono blocchi monolitici. Quando ad esempio pensiamo all’italiano, siamo abituati a concepirlo come un unico blocco monolitico e uniforme, un qualcosa che ammette certe espressioni (parole o strutture linguistiche che siano) e non ne ammette altre, che vengono categorizzate in altro modo, diciamo pure “non italiano”. Questa è un’idea, quella di un italiano monolitico e immutabile, che viene veicolata soprattutto attraverso l’istruzione scolastica, la quale si impegna, appunto, a insegnarci quella che comunemente chiamiamo varietà di lingua standard. In sociolinguistica, quella branca della linguistica che studia la lingua in rapporto alla società che la parla, le varietà sono le unità di base che compongono la lingua, qualunque essa sia. Le varietà di una lingua si distinguono in base a quelli che chiamiamo assi di variazione, che ci aiutano a modellizzare la lingua in una sorta di modello tridimensionale. Ogni lingua ha quindi una variazione diatopica, ovvero varia nello spazio, ma anche una variazione diacronica, cioè delle variazioni che si verificano nel tempo. Questi sono i tipi di variazione più conosciuti per le lingue, anche da parte della gente comune, ma ce ne sono altri: le lingue variano in diastratia, cioè a seconda delle classi sociali, ma anche in diafasia, vale a dire a seconda delle situazioni comunicative, e in ultimo le lingue possono anche essere provviste di una variazione diamesica, che dipende dal tipo di canale di comunicazione, che sia, ad esempio, orale o scritto. L’italiano non è da meno: anche lui varia in tutti questi modi! Ma non è qualcosa su cui a scuola, di solito, ci si sofferma.

In tutto ciò, almeno per lingue con una lunga tradizione scritta come l’italiano, al centro di questa sorta di modello tridimensionale troviamo, nel punto dove questi assi si intersecano, la varietà standard. Non tutte le lingue hanno una varietà standard: affinché, infatti, esista uno standard, questo deve essere stato elaborato, per così dire, a tavolino. L’italiano, per convenzione, nasce nel 1525, quando Pietro Bembo pubblica le Prose della volgar lingua, sorta di saggio in forma di dialogo in cui espone, sulla base della letteratura prodotta da Petrarca e Boccaccio (e meno di Dante) delle norme stilistiche per scrivere quella varietà che nel frattempo era diventata l’italiano, e che si basava su una sola varietà linguistica, il dialetto fiorentino, nella sua versione letteraria. Lo era diventata perché, da un certo momento in avanti, tutti i letterati d’Italia inizieranno a usarlo, o in modo esclusivo, o affiancandolo alle loro altre lingue letterarie: all’italiano, quindi, ha iniziato a essere associato quello che in sociolinguistica chiamiamo prestigio. La varietà standard di una lingua però, per così dire, non esiste “in natura”: in natura possono esistere semmai quelle varietà che di solito si chiamano varietà dell’uso medio, i cui tratti sono comuni grosso modo a tutti i parlanti, o ancora le varietà di koinè, che derivano da una convergenza naturale tra varietà in qualche modo diverse. 

Ma a cosa serve una varietà di lingua standard? Perché la si crea? I motivi possono essere diversi, a dire il vero, ma ciò che bisogna sempre tenere in considerazione è che nella realtà della comunicazione quotidiana le varietà standard non esistono. Nessuno di noi parla in italiano, infatti, seguendo pedissequamente tutte le regole che costituiscono la varietà standard. La varietà standard, infatti, serve da modello di riferimento comune a tutti i parlanti di una lingua, che per motivi che non sono strettamente linguistici bensì sociali, cercano di uniformare il proprio modo di parlare. Si intenda, quindi, che “modello di riferimento” non ha in sé nessuna accezione coercitiva. 

In ogni lingua vivono due tendenze contrapposte: quella all’omologazione nel parlato, cosa che fanno i parlanti di una lingua che possiede una varietà standard per motivi di carattere sociale, e quella alla diversificazione, intrinseca della natura delle lingue. La realtà dei fatti ci mostra che avere un modello di riferimento comune però non significa osservarlo in maniera severa. È una cosa che notiamo molto bene nel momento in cui ci spostiamo in un posto che è molto lontano da dove abbiamo sempre vissuto, ma in cui si parla la stessa lingua: sentiremo che le stesse parole che usiamo noi vengono pronunciate in modi un po’ diversi, che magari si usano strutture che dove abbiamo sempre vissuto non si usano, notiamo che ci sono parole per noi incomprensibili che però sono fatte degli stessi suoni che noi usiamo per tutte le altre parole che conosciamo e usiamo. 

E dunque, esiste la varietà standard, ma come modello di riferimento ideale; nella realtà della lingua quotidiana esistono altre varietà: nel caso dell’italiano, ad esempio, si parla di italiani regionali. L’italiano che si parla, mettiamo, a Palermo, mostra dei tratti specifici diversi ad esempio dall’italiano che si parla a Milano, e tutti e due mostrano, ancora, tratti diversi rispetto a quelli che potremmo trovare nell’italiano di Bologna, o di Napoli, o di Cagliari, ma tutti questi hanno come base di partenza la varietà standard, dalla quale poi si differenziano per diversi motivi e in diversi modi. E queste sono le varietà di italiano reali che vengono parlate quotidianamente. 

L’italiano non è monolitico, come vediamo, esattamente come non lo è il siciliano e come non lo sono tutte le altre lingue del mondo. Ma allora di cosa parliamo quando parliamo di siciliano standard? Qualcuno ha fatto lo stesso lavoro che ha fatto Bembo 500 anni fa circa per l’italiano? Ni.

Quello di siciliano standard è un concetto che, tra gli altri, ha elaborato anche Baiamonte 2022 (il sottoscritto) nella sua tesi di laurea magistrale intitolata Per un modello di pianificazione linguistica per il siciliano. Una premessa è d’obbligo: lingue come l’italiano, il francese, e tutte le lingue nazionali hanno elaborato una varietà standard in periodi storici molto diversi da quello attuale. Erano tempi in cui la maggioranza della popolazione era analfabeta, tempi in cui le società funzionavano diversamente e il valore che si dava alle lingue era del tutto diverso da quello che gli si dà oggi. Quello che fece Bembo nel 1525 fu possibile proprio perché la lingua scritta era appannaggio di pochi, gente più colta della media che spesso conosceva anche il latino. Oggi le nostre società hanno raggiunto livelli di alfabetizzazione mai visti prima, ed è cambiata anche la coscienza linguistica. Processi di standardizzazione, ossia di creazione di una varietà standard, come quelli che sono stati messi in atto in altri tempi e in altri luoghi oggi non sono più concepibili. 

Il concetto di siciliano standard per come elaborato da Baiamonte 2022 e che viene abbracciato dalla Cademia Siciliana è un concetto che prevede alla base uno standard elastico: ciò che si intende è un modello linguistico di riferimento innanzitutto per la scrittura, un modo uniforme per tutti di scrivere, ma è appunto un modello linguistico di riferimento elastico: ciò significa che non prende in considerazione soltanto una varietà diatopica (o geografica che dir si voglia) del siciliano, come potrebbe essere il palermitano o il catanese (diversamente da ciò che accadde all’italiano), ma che da una parte punta a mettere in piedi un’ortografia comune che fondi innanzitutto sui caratteri comuni a più o meno tutte le varietà geografiche del siciliano, e dall’altra consenta anche una certa dose di libertà per far sì che grafie diverse possano essere incluse per varianti diverse di determinate parole, e per far sì che la ricchezza che noi troviamo nei dialetti del siciliano non venga eliminata. Questo ragionamento è dato dal fatto che per un linguista tutte le lingue e tutte le varietà di una lingua hanno la stessa dignità: il siciliano non ha un dialetto che è più degno di essere preso a modello di riferimento rispetto agli altri, ma questo è un tassello di coscienza scientifica che i linguisti hanno raggiunto gradualmente nel tempo. In questo modo si ottiene un’ortografia sovralocale, che non fa, o cerca di non fare dispetto a nessuna varietà, è una varietà scritta che cerca di essere in qualche modo democratica e inclusiva.

La cosa che va notata, sempre facendo seguito a questo discorso, è che il siciliano standard, per come lo teorizziamo in questa sede, non prevede una pronuncia uniforme: la cosa bella delle lingue, e anche del siciliano, è che mostrano un’eccezionale ricchezza e variabilità, nelle pronunce, nel lessico, nelle strutture, e noi non vorremmo mai cercare di sterminare questa ricchezza di variabilità! Anzi, lo standard scritto elastico, per come lo teorizziamo, non solo può contribuire a un irrobustimento del siciliano dal punto di vista della sua vitalità, ma può anche contribuire a una preservazione di determinati tratti peculiari dei singoli dialetti. Ma questo è possibile solo se si tengono bene a mente tutti questi principi che noi seguiamo nel nostro lavoro, che è, in fin dei conti, un lavoro che punta alla promozione e valorizzazione del nostro patrimonio linguistico e culturale, patrimonio che però non va chiuso a chiave in un cassetto, ma va appunto tenuto vivo, va lasciato respirare, e il modo migliore per farlo è dotarsi di coscienza, di conoscenza e di strumenti adatti a questo annoso compito, che in fin dei conti è appannaggio non solo della nostra associazione, ma di tutti noi parlanti.

Insomma, il siciliano standard, per come qui teorizzato, noi crediamo possa essere uno strumento di grande aiuto per consentire al siciliano di continuare a vivere e prosperare in un mondo in cui tanta importanza assume la forma scritta di una lingua, nel pieno rispetto della sua storia e delle sue peculiarità che lo differenziano da altre lingue romanze. In questo senso, negli anni abbiamo lavorato per mettere in piedi una proposta ortografica (per la quale è in fase di preparazione la seconda edizione rivista e corretta), quella che correntemente utilizziamo nelle nostre comunicazioni in siciliano col pubblico. Ecco perché prima abbiamo risposto “ni”: noi abbiamo avviato il lavoro, ma serve l’impegno e il supporto di tutti soprattutto nel fare una scelta consapevole. Da anni studiamo e ci formiamo per promuovere e tutelare il siciliano, ma il siciliano è di tutti: noi mettiamo tutto il nostro impegno e la nostra buona fede, ma abbiamo bisogno, da parte vostra, della vostra fiducia, che si traduca in un comune impegno, nostro e vostro e quindi di noi tutti, a favore della nostra lingua.

Bibliografia e sitografia

Baiamonte, S. M., 2022, Per un modello di pianificazione linguistica per il siciliano, tesi di laurea magistrale, Università di Bologna

Berruto, G., 2010, italiano standard, in Simone, R. (a cura di), Enciclopedia dell’italiano, Roma, Istituto dell’Enciclopedia Italiana (disponibile online: https://www.treccani.it/enciclopedia/italiano-standard_(Enciclopedia-dell’Italiano))

Berruto, G., 2011, variazione linguistica, in Simone, R. (a cura di), Enciclopedia dell’italiano, Roma, Istituto dell’Enciclopedia Italiana (disponibile online: https://www.treccani.it/enciclopedia/variazione-linguistica_(Enciclopedia-dell’Italiano))

Berruto, G., 2012, Sociolinguistica dell’italiano contemporaneo, Roma, Carocci.

D’Agostino, M., 2011, variazione diastratica, in Simone, R. (a cura di), Enciclopedia dell’italiano, Roma, Istituto dell’Enciclopedia Italiana (disponibile online: https://www.treccani.it/enciclopedia/variazione-diastratica_(Enciclopedia-dell’Italiano))

Migliorini, B., 2019, Storia della lingua italiana, Milano, Bompiani.