Ormai non c’è giorno in cui non si parli dei problemi legati all’ambiente: da una parte, nel mondo della ricerca, proliferano gli studi su come le attività antropiche influenzano l’ambiente, e da diversi anni ormai sappiamo con certezza che le nostre attività influenzano pesantemente tutto quanto riguardi l’atmosfera e la biosfera: tra inquinamento, sfruttamento indiscriminato delle risorse, riscaldamento globale, innalzamento del livello del mare, distruzione degli ecosistemi e via dicendo, i ricercatori hanno praticamente l’imbarazzo della scelta per quanto riguarda i cataclismi antropogenici da studiare. Dall’altra, gli effetti collaterali delle nostre attività sono ormai visibili nel quotidiano, ad esempio negli eventi atmosferici estremi che chi più, chi meno ha già vissuto. Insomma, tutto conferma quanto affermava una signora palermitana intervistata qualche anno fa, che diceva che “u munnu sta squagghiannu jornu pi jornu”.
I risultati della ricerca sulle questioni ambientali, anche se conseguiti da scienziati naturalisti, sono però fondamentali anche per i linguisti, in particolare quelli che si interessano di ricerca sulla “glottodiversità”, cioè sulla diversità linguistica. La glottodiversità è una costante della nostra specie: la tendenza per così dire naturale delle lingue è quella di diversificarsi in vari modi. In Italia l’asse di variazione per eccellenza ancora oggi è l’asse diatopico: ciò significa che la glottodiversità di area italiana si fonda innanzitutto sulla differenziazione geografica; altre lingue invece prediligono la variazione lungo l’asse diastratico, cioè i loro caratteri di diversità vanno individuati non in base al parametro geografico (che comunque è sempre presente), bensì in base al parametro della classe sociale. Quello della glottodiversità è un aspetto molto importante per noi linguisti, in quanto avere a disposizione quanta più diversità linguistica possibile ci aiuta moltissimo nel formulare le nostre teorie sul funzionamento e sullo sviluppo del linguaggio (cfr. Nettle & Romaine 2000).
Al giorno d’oggi, a parte gli eventi di ordine sociale che da diverso tempo hanno cominciato a mettere a rischio la glottodiversità (come le politiche monolinguistiche dei moderni stati nazionali) si aggiungono le problematiche, che sono sempre di origine sociale, ma che hanno poi sviluppo ambientale: ciò vuol dire che i cambiamenti climatici hanno un impatto non indifferente anche sul panorama linguistico mondiale. La tutela delle lingue in pericolo dunque non può prescindere da una attenta considerazione delle nuove dinamiche ambientali che ci toccano da vicino e che, se non arginate con misure concrete e in tempi rapidi, porteranno miliardi di persone a trovarsi in situazioni di svantaggio sociale e culturale. Su questo la comunità dei linguisti è d’accordo, si legga ad esempio quanto ha scritto la linguista Anastasia Riehl per The Conversation.
Cerchiamo di capire cosa significherebbe questo per il panorama linguistico nostrano; la domanda che ci poniamo è la seguente: mantenere questo atteggiamento nei confronti dell’ambiente come impatterà sulla Sicilia e quali potrebbero essere le conseguenze per il futuro del siciliano?
Fare delle previsioni sul futuro di una lingua è sempre una mossa azzardata, in quanto è impossibile conoscerne gli sviluppi futuri. Quello che noi vogliamo fare qua è però qualcosa di un po’ diverso: partendo dai dati che ci mettono a disposizione gli studiosi che si occupano di cambiamenti climatici, vogliamo cercare di capire in che modo tutto ciò potrebbe influenzare le sorti del siciliano. Per farlo ci serviremo dei dati pubblicati dal Centro Euro-Mediterraneo sui Cambiamenti Climatici (CMCC), nello specifico analizzando i dati presentati in Spano et al. 2020.
L’aumento delle temperature
Le attività umane producono dei gas: alcuni di questi sono chiamati gas climalteranti perché in grado di alterare il clima. Gli scienziati hanno la capacità di misurare la presenza di questi gas nell’atmosfera: misurandoli, riescono a produrre dei modelli climatici. Questi modelli riescono a dirci di quanto aumenterà la temperatura a seconda della presenza di questi gas nell’atmosfera: sulla base di questi modelli i climatologi formulano poi delle proiezioni climatiche, degli scenari di evoluzione del clima. Tra questi scenari, elaborati dall’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC) e chiamati Representative Concentration Pathways (RCP), due sono i più utilizzati:
- RCP8.5: è lo scenario che ci attendiamo se nulla cambierà nella produzione di gas serra, cioè con livelli di CO2 nell’atmosfera tri-quadruplicati nel 2100 rispetto a prima della Rivoluzione industriale. Secondo questo scenario, se non facciamo nulla, la temperatura media globale entro il 2100 probabilmente sarà aumentata di oltre 2 °C e continuerà a farlo anche dopo;
- RCP2.6: è lo scenario che ci attendiamo se dimezziamo le emissioni di CO2 entro il 2050; se lo facessimo, difficilmente nel 2100 la temperatura media globale aumenterebbe fino a 2 °C;
- RCP4.5: è uno scenario intermedio di moderazione della produzione di gas serra; in questo scenario, la temperatura media globale non dovrebbe superare i 2 °C.
Per la Sicilia, il documento del CMCC mostra che nel peggiore degli scenari (RCP8.5), cioè se non facciamo nulla, entro il 2050 le temperature medie aumenteranno di 1-1,5 °C nel periodo tra settembre e maggio (cioè autunno, inverno e primavera) e di 1,5-2 °C in estate. Sempre nel peggiore degli scenari, cioè se non facciamo nulla, nell’area del sud Italia, Sicilia compresa, entro il 2100 si attende un aumento delle temperature in media di 6,3 °C (con una temperatura media annua che passa da circa 13,5 °C a 19,8 °C).
Nella relazione fanno capolino anche le cosiddette notti tropicali, notti la cui temperatura supera i 20 °C come minima: hanno rilevanza in quanto “[s]e la temperatura minima rimane al di sopra del valore di 20°C, il corpo umano non ha la possibilità di rinfrescarsi dopo una giornata di caldo intenso” (Spano et al 2020: 23). Entro il 2050 arriveremo a una media di almeno 18 notti consecutive di notti con temperature sopra i 20 °C, particolarmente in estate; in autunno invece la media scenderà a una quantità tendenzialmente compresa tra le 2 e le 6 notti con temperature sopra i 20 °C, ma non lungo le coste, dove anche d’autunno rimarranno lunghi periodi di notti calde.
Precipitazioni annuali
Per quanto riguarda le precipitazioni, la relazione del CMCC delinea uno scenario tra i peggiori a dir poco desolante: rispetto al periodo 1981-2010, tra 2021 e 2050 si attende per la Sicilia una diminuzione delle piogge durante l’anno, diminuzione maggiore in estate che in inverno. Pensate a quanto piove adesso in estate e in inverno: ecco, ora pensate che piova decisamente di meno. Entro il 2050 si prospetta una diminuzione delle piogge fino al 24% in meno di adesso. Questa diminuzione continuerebbe ovviamente fino al 2100: se oggi piovono 1,6 mm di pioggia l’anno, nel 2100 ne pioverebbero 1,3.
La relazione del CMCC pone attenzione anche alla quantità di pioggia per luogo: per quanto riguarda la Sicilia, ciò significa che quando pioverà, in un periodo considerato fino al 2050, le piogge saranno meno copiose in inverno e in primavera e più copiose in estate e autunno. Ciò non significa che però i ritmi delle piogge saranno gli stessi di ora: in questi casi si calcolano infatti anche i giorni secchi consecutivi, cioè i giorni consecutivi senza pioggia o con pioggia inferiore a 1 mm. Nel peggiore degli scenari, avremo in periodi come primavera ed estate periodi di 2-4 giorni consecutivi senza pioggia, in inverno pioverà ogni 1-2 giorni.
Cosa succede al mare
Il mare non è esente da ripercussioni rispetto agli atteggiamenti dell’uomo verso l’ambiente. La Terra si riscalda, le calotte glaciali si sciolgono a ritmi sempre più elevati, e le acque del pianeta si riscaldano anch’esse. “Senza l’adozione di strategie e misure di adattamento, assisteremo ad un aumento dei rischi di inondazione ed eventi estremi per le comunità costiere, ad un aumento degli impatti negativi sulla biodiversità marina e ad una riduzione del potenziale di pesca e delle risorse marine in generale, con conseguenze negative per la sicurezza alimentare, il turismo, l’economia e la salute” (Spano et al. 2020: 26).
Nello scenario peggiore, si stima che il livello del mare salirà di 7-9 cm da adesso al 2050, e complessivamente di circa 84 cm da adesso al 2100 (la NASA stima invece per i mari attorno alla Sicilia un aumento di 61 cm al 2100). Ovviamente, anche le temperature medie del Mediterraneo aumenteranno, portando a scompensi nella fauna e nella flora marittime.
Altri aspetti da tenere in considerazione
Le città sono le zone che più risentiranno dei cambiamenti climatici, in particolare per quanto riguarda gli eventi climatici estremi. A subire questi effetti negativi saranno soprattutto bambini, anziani e disabili. Va inoltre considerato che in città le temperature saranno più alte di 5-10 °C rispetto alle campagne circostanti e in generale alle zone non urbanizzate. Non di secondaria importanza sono i rischi legati al dissesto idrogeologico, a causa delle alluvioni che diventeranno più frequenti, e d’estate gli incendi molto più frequenti. Vedrà un accentuamento anche il problema dell’approvigionamento di acqua, che riguarderà in particolare i mesi estivi e le zone semi-aride.
E quindi? Quali eventi influenzeranno direttamente il siciliano?
Abbiamo motivo di ritenere che tutti questi eventi, combinati, contribuiranno ad aggravare la situazione del siciliano, ovviamente in maniera indiretta, cioè mettendo i parlanti di siciliano in una particolare condizione di precarietà.
Il generale riscaldamento del clima metterà in serie difficoltà la vita sull’Isola, un’Isola già calda di per sé che si troverà a essere ancora più calda: è ipotizzabile che molti isolani lasceranno l’isola in qualità di migranti climatici, in situazioni particolarmente in cui ci sia bisogno di pensare all’incolumità delle persone più fragili. L’agricoltura entrerà in forte crisi a causa della penuria d’acqua e dei terreni ulteriormente inariditi, togliendo così importanti possibilità di lavoro. Aumenterà il dissesto idrogeologico, e gli eventi estremi connessi, costringendo molte persone a lasciare le proprie abitazioni. L’innalzamento del livello del mare eroderà ancora di più le coste dell’isola, costringendo le persone che vivono più vicine al mare a spostarsi più nell’entroterra abbandonando le proprie case. Le città potrebbero spopolarsi a causa delle temperature intollerabili dovute anche al fatto che queste hanno solitamente poca vegetazione ed elevati livelli di inquinamento, i quali avranno importanti ripercussioni sulla salute generale delle persone. L’aumento delle temperature del Mediterraneo contribuirà a renderlo un mare di tipo tropicale; faranno la propria comparsa diverse specie allogene che altereranno l’ecosistema marino, mettendo a rischio le specie autoctone e in particolare quelle destinate al consumo umano. Il nuovo clima di tipo tropicale porterà a un sempre più frequente verificarsi di fenomeni estremi, come le trombe d’aria, se non addirittura uragani.
Il tutto dunque si combinerà provocando da una parte lo spopolamento dell’Isola, dall’altra la dispersione delle comunità umane dell’isola, mettendo di conseguenza a rischio anche la tenuta della lingua, e possibilmente accelerandone la scomparsa.
Il mutamento delle condizioni atmosferiche quindi si rivelerà un evento disastroso sotto tutti i punti di vista: lo sfaldamento delle comunità umane ne mette infatti a rischio tutti quegli aspetti più “culturali”; se la comunità siciliana sarà costretta a disperdersi fuori dall’isola e all’interno dell’isola, difficilmente la lingua sopravvivrà in maniera agevole: i parlanti sono le fondamenta della lingua, se non c’è una comunità che sia anche comunità linguistica non può neanche esservi una lingua da condividere. Certo, c’è sempre l’italiano, unica certezza linguistica che abbiamo da qui al 2100, ma perché rinunciare al siciliano? E anzi, non è da escludere che nel siciliano siano depositati importanti saperi per una corretta gestione del territorio (cfr. sempre Nettle & Romaine 2000, ma anche Riehl 2018: “The loss of a language is also a loss of data needed to better understand human cognition, as happens when a language disappears before its structures and patterns have been documented. It is a loss of knowledge about the world as well, as when descriptive names for plants or practices — still unknown outside a local area — are forgotten”).
Cosa possiamo fare noi?
Noi cittadini possiamo certamente fare qualcosa: siamo in tanti, e tante singole scelte personali possono contribuire in modo importante a invertire determinate tendenze. Dobbiamo però imparare a riflettere sul lungo periodo e capire che le scelte che facciamo oggi sono determinanti per il domani. Il disastro ecologico che ci attende se le nostre società non cambieranno rotta avrà importanti ripercussioni anche sulla nostra cultura. Se vogliamo cercare di arginare il deragliamento del siciliano, dobbiamo anche cercare di arginare il deragliamento della situazione ambientale e climatica. Ci troviamo oggi a fronteggiare numerosi problemi: se però sapremo fronteggiarli compattamente e in maniera seria e decisa, le generazioni future ci ringrazieranno. Chi vulemu fari?
Bibliografia
D. Bradley, 2019, Resilience for Minority Languages, in G. Hogan-Brun, B. O’Rourke (a cura di), The Palgrave Handbook of Minority Languages and Communities, Londra, Palgrave, pp. 509-530;
IPCC, 2014b, Annex II: Glossary [Agard, J., E.L.F. Schipper, J. Birkmann, M. Campos, C. Dubeux, Y. Nojiri, L. Olsson, B. Osman-Elasha, M. Pelling, M.J. Prather, M.G. Rivera-Ferre, O.C. Ruppel, A. Sallenger, K.R. Smith, A.L. St. Clair, K.J. Mach, M.D. Mastrandrea], in Barros VR, Field CB, Dokken DJ, et al. (a cura di), Climate Change 2014: Impacts, Adaptation, and Vulnerability. Part B: Regional Aspects. Contribution of Working Group II to the Fifth Assessment Report of the Intergovernmental Panel on Climate Change. Cambridge, Cambridge University Press, United Kingdom and New York, NY, USA, pp. 1757–1776.
A. Riehl, The impact of climate change on language loss, «The Conversation», 26 novembre 2018 (link);
Spano D., Mereu V., Bacciu V., Marras S., Trabucco A., Adinolfi M., Barbato G., Bosello F., Breil M., Chiriacò M. V., Coppini G., Essenfelder A., Galluccio G., Lovato T., Marzi S., Masina S., Mercogliano P., Mysiak J., Noce S., Pal J., Reder A., Rianna G., Rizzo A., Santini M., Sini E., Staccione A., Villani V., Zavatarelli M., 2020, Analisi del rischio. I cambiamenti climatici in Italia, Lecce, CMCC.