L’arbëresh di Sicilia

L’arbëresh (in siciliano arbiriscu o erroneamente arbanisi, ndrev) è una lingua che in Sicilia si parla solo in tre paesi: Piana degli Albanesi e Santa Cristina Gela, a circa 20 km da Palermo (l’autore parla la varietà di Santa Cristina, ndrev), e a Contessa Entellina, a 40 km da Palermo. Nel sud Italia l’arbëresh si parla in 49 comuni. Le varietà di Piana degli Albanesi e Santa Cristina Gela sono ampiamente comprensibili reciprocamente, con minime (ma notevoli) differenze morfologiche e lessicali, vista la fondazione di Santa Cristina a opera di famiglie provenienti da Piana 300 anni fa. Al contrario la varietà di Contessa Entellina mostra maggiori differenze e una presunta minore intelligibilità.


Mappa: i paesi arbëreshë in Italia e i paesi arvanitici nella Grecia da dove sono arrivati i primi arbëreshe (mappa di Franc Jakova)

L’arbëresh discende dalla parlata albanese medievale delle popolazioni della regione del Peloponneso, in Grecia, che migrarono in quella che oggi è l’Italia nel XV secolo.
La morfologia, buona parte del lessico e alcuni aspetti della fonologia dell’arbëresh sono simili alle varietà tosche meridionali dell’albanese, in particolare le varietà lab e ciam, così come all’arvanitico parlato in Grecia. Comunque sia, l’arbëresh non si può considerare reciprocamente intelligibile con altre varietà albanesi in quanto differisce in lessico, fonologia, morfologia, sintassi e prosodia. Gli elementi lessicali del siciliano o dell’italiano sono incorporati nel parlato quotidiano in arbëresh, tra cui elementi lessicali siciliani arcaici come sdar (andare in campagna), sgarrar (sbagliare), rritreu (bagno), belufrishku (brezza), fughatjar (scacciare), etc. Questo vale soprattutto quando si parla di attività per le quali è necessario un uso consistente di lessico moderno, che tende ad acquisire importanza insieme alle preposizioni a questo connesse; si veda ad esempio ka vete te la palestra (andrò in palestra, letteralmente a la palestra), do ghusarsh a makina? (vuoi usare la macchina?), ai shurben te l’università di Palermo (lui lavora all’università di Palermo), etc. Le forme più conservative mostrano una piena integrazione delle radici lessicali siciliane nella morfologia arbëresh: si veda, ad esempio, përposh arvughamës së Nataghvet i vum bambinelin (abbia messo il Bambinello sotto l’albero di Natale), vemi te kapusanti (andiamo al cimitero). Si noti anche che quando un sicilianismo inizia per /u/ in siciliano, in arbëresh inizia per /ɣu/,  scritto come gh in arbëresh, come ghusar da usari; questo vale anche per parole di radici albanesi come ghua (fratello) che ha il  corrispettivo ua nell’arvanitico (la controparte dell’arbëresh situata in Grecia), a oggi tuttavia lo sviluppo storico di questo fenomeno non è ancora stato studiato. Si noti che in albanese balcanico fratello si dice vëlla.


Segnaletica bilingue italiano-albanese standard (dunque non italiano-arbëresh).

Atteggiamenti linguistici

L’arbëresh è una pratica linguistica mista, che fa un uso completo dei codici romanzo e albanese, incorporandoli nel repertorio linguistico complessivo, sebbene gli atteggiamenti verso queste mescolanze si centrano sui vuoti lessicali della lingua percepiti. Gli atteggiamenti sono una variabile importante nel mantenimento linguistico (cfr. Kloss 1966), e al contempo nonostante l’alto prestigio (cfr. Derhemi 2003), la mescolanza inevitabile come risultato del contatto linguistico è spesso percepita come negativa (cfr. Di Maggio 2018). 

L’alto prestigio che i parlanti associano all’arbëresh contrasta con gli atteggiamenti rilevati in parlanti di altre lingue regionali in Italia, come siciliano e veneto (Bettoni & Gibbons 1988; Bettoni & Gibbons 1990; Rubino 2014). Derhemi 2003 osserva che i parlanti non svalutano l’arbëresh nello stesso modo in cui parlanti di altre lingue minoritarie vedono la propria lingua minoritaria in una situazione diglossica; qui infatti gli abitanti si sentono speciali in rapporto ai Latini (cioè i siculofoni), atteggiamento più comune a Piana degli Albanesi. Al contrario, a Santa Cristina Gela, dove si trovano molte famiglie di radici miste, qui gli abitanti si sentono più siciliani (si noti, per converso, che a Contessa Entellina c’è un confronto fortemente antagonistico dalla parte dei Latini verso i Greci – così vengono chiamati gli Arbëresh, cfr. Matranga 2015). Il pregiudizio nei confronti della mescolanza linguistica è paragonabile agli atteggiamenti dei siculo-australiani nei confronti delle loro pratiche linguistiche (Rubino 2014: 61). L’esempio seguente evidenzia alcune attitudini linguistiche circa l’uso del materiale lessicale romanzo in arbëresh: il parlante è di Piana degli Albanesi e mostra tendenze altamente puristiche, tra cui la sostituzione del lessico di derivazione siciliana con albanesismi standard, sebbene incoerentemente:

Rom jetonj danz Trastevere, e sa të vete te shurbutira e marr autobusin

Vivo vicino Trastevere a Roma e prendo l’autobus per andare al lavoro

Siccome il parlante aveva usato una parola dell’albanese standard (jetonj) gli ho chiesto se una parola albanese è meglio di una siciliana, e ancora usando parole di radici siciliani ed anche prestiti dall’albanese standard, la sua risposta è stata:

Certu! Dhe më mirë një fjal shqipe se nonjë sicighjane

Certo! E una parola albanese è meglio di qualche (parola) siciliana

Come mostra l’esempio sopra, i parlanti spesso ripropongono discorsivamente il purismo linguistico attraverso l’uso di albanesismi standard e cercando di trovare esempi di arbëresh “corretto”, mentre al contempo usano materiale linguistico siciliano e italiano. Ciò è paragonabile con i parlanti di maya del Guatemala che fanno uso di un repertorio di tante parole funzionali spagnole, con o senza fluenza in spagnolo, e insieme vedono gli elementi spagnoli come un’interferenza nella loro lingua maya (cfr. Hofling 1991: 9; Furbee-Losee 1976). I parlanti come quelli appena descritti articolano il purismo linguistico ma lo contraddicono anche fortemente attraverso le pratiche linguistiche sincretiche manifestate nel loro parlato quotidiano.

Opinione espressa in arbëresh da un parlante nativo in merito alla salvaguardia della lingua (testo)

Molta dell’ideologia che circonda l’uso linguistico, riflessa negli esempi menzionati, potrebbe essere radicata nelle politiche nazionaliste (Anderson [1983]1991; Gal 1979, 1991a, 1993; Woolard 1985, 1989a, 1989b) che connettono queste isole linguistiche al gruppo nazionale dal quale si percepisce che queste si originino. Nel caso dell’arbëresh la supposizione è quella di collegare la comunità alle identità nazionali degli stati dell’Albania e del Kosovo. L’università di Prishtina indice annualmente un convegno di lingua albanese cui i parlanti arbëresh sono invitati con lo scopo di “migliorare” il loro albanese. Ciò, in qualche modo, viene incoraggiato da Derhemi (2002: 265), che suggerisce che una soluzione sarebbe adottare l’albanese standard come lingua scritta, e mantenere l’arbëresh come “dialetto” orale, dimodoché l’albanese standard provvederebbe a colmare le lacune lessicali dell’arbëresh. Altri suggeriscono l’insegnamento dell’albanese standard nelle scuole di Piana (Rrushi 2000) con conservazione dell’uso orale dell’arbëresh, o addirittura si spingono a suggerire che Piana potrebbe abbandonare l’arbëresh a favore dell’albanese con una passaggio graduale e pianificato da una lingua all’altra (Derhemi 2002: 265). Questa proposta fa troppo affidamento sulle ideologie nazionaliste (Chernilo 2006) e moderne nozioni puristiche di cosa costituisce una “lingua” (Schieffelin et al. 1998; Sallabank 2010). Questo modo di vedere il rapporto tra arbëresh e albanese non è né storicamente corretto, né riflette la continua mescolanza della comunità con i parlanti romanzi, o addirittura che possano parlare varietà romanze nativamente, in quanto la loro realtà sociopolitica si situa fermamente in un’identità regionale siciliana e nazionale italiana. Il desiderio di “parlare bene” tra alcuni parlanti chiaramente non è stato risolto dall’associazione con l’Albania e l’albanese, come esemplificato da Giovanni di Santa Cristina, che ha commentato:

però… thomi… ormai, ng’ë un problema, però, për esempju, u gnë ndighem albaniz

ma… diciamo… ormai, non è un problema, ma, per esempio, io non mi sento albanese

I commenti di Giovanni sono rappresentativi di come molti esprimano i propri sentimenti sulle identità albanese e siciliana: la maggior parte degli antenati di Giovanni venivano dai paesi siculofoni circostanti, ma come molte famiglia con radici siculofone, soprattutto a Santa Cristina, i suoi genitori parlano arbëresh come prima lingua. Questa è una situazione comune per le famiglie sëndahstinari (abitanti di Santa Cristina) e non influenza in alcun modo la loro identità, infatti i sëndashtinari si identificano fortemente come siciliani che parlano un’altra lingua più dei chianoti (abitanti di Piana), molti dei quali hanno anche degli antenati siculofoni. Il fatto che i sëndashtinari non si identifichino come albanesi dà peso alla mia tesi che gli aspetti del siciliano evidenti nelle parlate dei due paesini andrebbero visti come positivi e i programmi di mantenimento o i materiali dovrebbero rifletterlo. Il punto di vista contrastante, che l’arbëresh è un dialetto dell’albanese in pericolo, impedisce il mantenimento linguistico, e difatti ne minaccia la vitalità. Come notano Meštrič & Šimičić 2017: 147, le comunità linguistiche che si sforzano di “supportare la propria lingua che non ha uno status ufficiale” (traduzione nostra) sono anche affette da ideologie molto radicate; l’ideologia che l’arbëresh è in pericolo solamente perché ha caratteri derivati dal siciliano o dall’italiano – spesso indicati come contaminazioni – è una di quelle che opera contro il suo mantenimento.

Differenze dall’albanese balcanico, dal siciliano e dall’italiano

È stato sostenuto che c’è in generale in arbëresh chianotu una perdita di tratti originali dell’albanese, con la varietà di Santa Cristina sottoposta a un attrito ancora maggiore (cfr. Derhemi 2002; 2003). Di conseguenza, abbondano i problemi nella competenza del parlante e mancanza/attrito. Al contrario, ritengo che ciò in arbëresh di Sicilia non avvenga, in quanto ha una fonologia caratteristica che lo differenzia dalle varietà albanesi, ma anche da altre varietà arbëresh. La sua fonologia si distingue anche dalle varietà siciliane e italiane circostanti (vedi sotto). Inoltre, come varietà L1 (cioè prima lingua, ndrev), i caratteri dell’arbëresh vengono traslati anche nell’italiano parlato come L2 e nel siciliano, portando a una mancanza di lunghezza delle consonanti, che è un carattere fondamentale delle varietà romanze dell’Italia meridionale, insieme all’uso del suono [ð] invece dell’italiano [d] (“prodotti” pronunciato come “proðoti”) e l’uso di [ɣ] al posto dell’italiano [ɡ] (ad esempio “grazie” pronunciato come “ɣrazie” e “magari” come “maɣari”). Ciò pone in dubbio la nozione per cui una “mancanza di caratteri albanesi originali” sarebbe indicativa di perdita linguistica in quanto si tratta di caratteri forti della parlata arbëresh. Le differenze sostanziali con le varietà albanesi balcaniche sono:

  • il suono [ɜ], che in /zɜ:mbra/ (cuore), come la u della parola inglese nurse, reso in albanese come /ə/ o /e/, come in zemra;
  • il suono [χ], come nel greco o nell’arabo, che non esiste in albanese, che invece ha [h] come nell’inglese house. Le parole arbëresh χa (mangiare), laχem (lavarsi), χi (entrare) si contrappongono ai corrispettivi albanesi ha, lahem, hy. L’arvanitico è l’unica lingua di ceppo albanese che mostra questo suono, a parte l’arbëresh. Il suo uso in arbëresh di Sicilia è conservativo; continua a essere ampiamente usato e non è stato ridotto o perso per il contatto col siciliano o l’italiano (nessuna delle due lingue infatti ha questo suono. Un esempio di parola che mostra questo suono è χaristis (io ringrazio), pronunciata all’inizio col suono [χ] – l’equivalente albanese di “io ringrazio” è faleminderoj, che è ampiamente differente;
  • il suono [ç], reso con il digramma hj: si veda ad esempio hjeja (ombra), hjatar (respirare), tihj (tu soggetto). In albanese queste parole sono realizzate rispettivamente come hije, marr frym e ty. Il termine arbëresh per “respirare” è hjatar, e si tratta di un prestito dal siciliano antico hiatari. Jam e flas me tihj (sto parlando con te) in albanese è reso come Une po flas me ty, di nuovo molto diverso; similmente Nën hjeja e shpis (sotto l’ombra della casa) in albanese è reso come nën hija e shtëpisë;
  • il suono [ɣ], scritto come gh in arbëresh e assente in albanese. Molti toponimi nell’area circostante Piana e Santa Cristina mostrano questo suono (cfr. Chiaramonte 2002: 10), come in: Te Saghuti (Saluto), Gharmisantrat (L’Anime Sante, dal siciliano l’armi santi), Ghruta e Gharrunit (Grotto di Garrone), ma anche ghranet (i soldi) da grana, fughatjar (scacciare) dal siciliano antico fugattijari (spesso oggi pronunciato in siciliano “senza G”), e la parola santacristinese gëghat [dʒɜ:ɣat] (gelato). Il suono corrispondente in albanese è la “L scura” (scritta come ll) che compare in alcune parole che per i parlanti di arbëresh sono irriconoscibili. Non si tratta di un carattere del siciliano o dell’italiano moderni, ma potrebbe riguardare una fase precedente del siciliano relativa ai primi due secoli della presenza di queste popolazioni in Sicilia, dato che molti prestiti dal siciliano contengono questo suono – dunque è possibile che l’arbëresh ci dia un indizio sulla fonologia del siciliano medievale;
  • il suono [ɡʲ], scritto come gj, simile al siciliano gghi in travagghiari: contrasta con il suono dell’albanese [ɟ], più simile al ghj del còrso e che suona come più vicino al suono della lettera G in gilatu. Si veda, a titolo esemplificativo: gjegjem (sentire) o njëgjegjë (qualcosa). Il corrispondente di gjegjem in albanese è degjoj, mentre quello di njëgjegjë è diçka, ed entrambi non sono per nulla simili;
  • il suono [kʲ], reso come kj, che è presente in italiano (chiave) contrasta con il suono dell’albanese [c], che suona più vicino alla C dell’italiano ciao. Degli esempi: kjiro (tempo), kjaru (chiaro). “Tempo” in albanese è reso come koha, che a sua volta significa “tosse” in arbëresh, mentre “chiaro” è “i qart”;
  • in contrasto con l’albanese balcanico, l’arbëresh mostra un sistema di desonorizzazione delle consonanti finali di parola, che riguarda i suoni occlusivi b, d, g e gj, le affricate dz e dʒ, le fricative ð, ɣ, v, z, ʒ. Questo fenomeno è assente in italiano e in siciliano, né è attestato nelle varietà balcaniche dell’albanese. Degli esempi: thelp (spicchio) opposto all’albanese thelb; vent (luogo) opposto a vend; sgleth (lettura) opposto a zgjedh (scegliere), lik (cattivo) opposto a lig dell’albanese, likj (cattivi) opposto a ligj; uthuh (aceto) opposto a uthull; los opposto all’albanese loz.

Conclusioni

A oggi, i bisogni della comunità arbëresh di Piana degli Albanesi circa il mantenimento della lingua sono stati rivolti all’implementazione del panorama linguistico con l’albanese standard e due testi scolastici redatti mettendo insieme lingua locale e albanese standard, con la prima risultata come largamente inintelligibile per il parlante medio (Zappini, 2010-2011), e la seconda dimostratasi relativamente inefficace (Derhemi, 2003). Sotto l’influenza degli studiosi albanesi, sono state fatte proposte per rappresentare efficacemente l’arbëresh come un dialetto dell’albanese e insegnare quest’ultima come lingua letteraria della comunità dei parlanti e al contempo incoraggiare l’uso orale dell’arbëresh rafforzato dall’albanese standard (Derhemi, 2003; Rrushi, 2000). La legge italiana del 1999 protegge “la lingua albanese”, omogeneizzando le diverse pratiche linguistiche della comunità arbëresh ma facendo ben poco per proteggerle. Schirò-Di Maggio e Schirò-Di Modica hanno implementato un ibrido che hanno usato per produrre dei libri di testo per le scuole di Piana, ma come nota Eda Derhemi, la lingua usata nei testi non è adeguatamente standardizzata, e riempie “i vuoti dell’arbëresh” con prestiti dall’albanese standard; correttamente dunque constata che non si tratta di una proposta efficace (Derhemi, 2003: 283). Ciò equivarrebbe a importare parole dell’italiano nel siciliano standard e considerare il siciliano come un carente dialetto dell’italiano che dipende da quest’ultimo per esprimere i modernismi.

Martin Di Maggio è dottorando in Bilinguismo e Lingue Minoritarie all’Università di Bangor, in Galles. Il suo tutor è il prof. Marco Tamburelli. Ha conseguito un master in Language Documentation and Description presso l’Università SOAS di Londra. È un parlante di arbëreshe oriundo di seconda generazione, cresciuto in Regno Unito ma di famiglia originaria di Santa Cristina Gela e Piana degli Albanesi. Gestisce il canale YouTube Arberesh TV dedicato alla documentazione dell’arbëresh e alla promozione della polinomia linguistica (unità nella diversità) come modello per la protezione e la promozione delle lingue minorizzate.

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