Nel 1979 usciva per Mondadori “La Sicilia come metafora” di Leonardo Sciascia, testo in forma di raccolta di saggi, concepito in seguito a un’intervista della giornalista francese Marcelle Padovani. Non c’è dubbio che Sciascia abbia rappresentato un’eccellenza letteraria della Sicilia, uomo contraddistinto dal proprio pessimismo, impegnato nella critica al potere e nell’analisi dei problemi della società siciliana. Tuttavia, questo testo ha contribuito alla diffusione di un luogo comune difficile da scardinare che riguarda l’immaginario collettivo sul siciliano, quello secondo cui in siciliano non esiste il futuro. Ma è davvero così? Va detto che quella di Sciascia è una semplice posizione filosofica, che nulla ha a che vedere su ciò che la linguistica ci dice sull’espressione del futuro nelle lingue del mondo.
In siciliano esiste il futuro?
Esiste il futuro in siciliano? Iniziamo dicendo che dobbiamo distinguere due aspetti, strettamente legati tra loro, che concorrono nel determinare la questione, dobbiamo scindere la domanda in due domande ulteriori, perché no?, anche sulla scia delle elucubrazioni filosofiche di Sciascia: dobbiamo chiederci cioè, se i siciliani sono in grado di comprendere, elaborare ed esprimere concetti relativi al futuro, e se il siciliano, in quanto lingua storica dei siciliani ed espressione della loro cultura e società, ha questa capacità.
Come i più ferrati certamente sapranno, poiché la specie umana è un’unica specie, non c’è concetto che un essere umano non possa elaborare e comprendere, e non c’è concetto che non possa essere tradotto da una lingua all’altra. Possono esserci certo, all’atto delle traduzioni, alcune perdite di sfumature di significato, ma il linguaggio umano e il nostro cervello sono strumenti talmente potenti da assicurarci i mezzi per aggirare certe problematiche nel momento della comunicazione. Può sembrare banale, ma se i siciliani non fossero in grado di concettualizzare il futuro, staremmo parlando verosimilmente di elementi di un’altra specie, in quanto ciò implicherebbe perlomeno delle sostanziali differenze a livello di struttura cerebrale. Eppure oggi buona parte dei siciliani è in grado di parlare anche in italiano, e di esprimere in italiano concetti che implicano l’espressione del futuro anche attraverso l’uso del cosiddetto tempo futuro semplice del modo indicativo. L’apprendimento dell’italiano da parte dei siciliani li ha forse “fatti evolvere”? Ciò è evidentemente impossibile.
In ogni lingua, tralasciando la coniugazione verbale, ci sono vari elementi del lessico che esprimono concetti legati al futuro: se il siciliano non fosse una lingua in grado di concettualizzare il futuro non avremmo parole come “doppu” (dopo), “dumani” (domani), “rimannari” (rimandare), “pròssimu” (prossimo), tutte parole che fanno riferimento in vario modo a momenti di tempo successivi al presente.
Il futuro in siciliano attraverso i verbi
Appurato che i siciliani non sono una specie a sé stante, e che sono in grado di elaborare e concettualizzare il futuro, ci chiediamo: a livello di coniugazione verbale, come si esprime in siciliano il futuro?
Va detto in prima battuta che in tantissime lingue non esiste un tempo specifico per indicare il futuro che si distingua da altre forme verbali. Questo aspetto è stato ad esempio registrato sul WALS online (World Atlas of Language Structures): su 222 lingue menzionate a proposito di questa caratteristica, 112 lingue non hanno un tempo futuro apposito, le restanti 110 sì. Il siciliano a proposito di futuro offre un’ampia gamma di strategie per esprimerlo.
L’indicativo presente con specificatori temporali
Una prima strategia usata non solo dal siciliano, ma anche da moltissime altre lingue, è quella di servirsi del presente affiancato da avverbi che marcano il tempo futuro: è il caso di un esempio citato da Sciascia, che riporta “dumani vaju ‘n campagna”. In questo caso l’idea di futuro è rappresentata dall’avverbio “dumani”, per cui avere anche il verbo coniugato al futuro sarebbe in un certo senso ridondante, in quanto il presente, pur chiamandosi così, non indica necessariamente e solo il momento in cui si sta parlando, ma ha dei limiti cronologici per niente definiti: ciò che noi possiamo intendere come presente può essere anche un arco temporale iniziato cinque anni prima di adesso, o che magari vedrà una fine tra altri cinque anni. Tra le altre lingue che usano questa struttura per indicare il futuro troviamo ad esempio il tedesco (ex: “Morgen fahre ich ans Meer”, “domani vado al mare”, dove la forma verbale “fahre” è al presente e dove troviamo l’avverbio “morgen”, cioè “domani”, con valore futuro) e il francese (ex: “Demain je vais à la mer”, dove la forma verbale “(je) vais” è al presente, di nuovo affiancata dall’avverbio “demain”), nonché lo spagnolo e l’inglese, e ovviamente l’italiano.
Il futuro analitico o perifrastico
Una seconda strategia a disposizione del siciliano è quella di usare il cosiddetto futuro perifrastico (o futuro analitico), cioè la struttura <aviri (coniugato) + “a” + infinito>: questa struttura infatti nasce per indicare il concetto di obbligo, e si usa così ancora oggi, ma poi il suo significato è stato ampliato per indicare anche il concetto di futuro: a seconda del contesto, quindi, “àju a jiri a mari” può significare tanto “devo andare a mare”, quanto “andrò a mare”, secondo un ragionamento per cui “devo fare X → siccome devo farlo, lo farò”. Ovviamente, qui è sempre il contesto comunicativo ad aiutarci a capire se chi parla intende esprimere più il concetto di obbligo o il concetto di tempo futuro. Sono varie le lingue che usano un futuro perifrastico: tra queste troviamo l’inglese (ex: I will go to the sea), il tedesco (ex: ich werde ans Meer fahren) e il russo (ex: я буду ездить на море). Questa strategia del siciliano risale direttamente al latino volgare, in cui a un certo punto l’originario futuro del latino ha cominciato a cadere in disuso e a essere sostituito da questa struttura formata da <habere (coniugato) + “ad/de” + infinito>, variante della struttura <infinito + habere> che appunto inizialmente serviva solo a esprimere il concetto di obbligo, e poi ha subito un ampliamento/slittamento di significato. Soprattutto nelle lingue romanze nazionali questo slittamento ha raggiunto livelli successivi, che in parte coinvolgono il siciliano.
Il futuro sintetico
Una terza strategia che troviamo in varie lingue romanze è il futuro sintetico, evoluzione del futuro perifrastico che abbiamo visto appena sopra: in vaste zone dell’area romanza la struttura del latino volgare <infinito + habere> ha subito un’evoluzione, e quello che era l’originario verbo avere si è trasformato in una desinenza, posta ovviamente dopo l’infinito, il quale portava con sé il significato basilare dell’espressione. Si è passati così a una struttura cosiddetta univerbata o sintetica, in cui più informazioni sono raccolte in una forma unica e non tra più forme. Come dicevamo, alla fine quello che era l’originario verbo avere è diventato una semplice desinenza: lo si vede bene in francese, in cui se guardiamo la forma “je finirai” notiamo ancora quelle che una volta erano due parole autonome: finir + ai. In italiano la relazione è lievemente opacizzata ma si può ancora osservare: “finirò” muove infatti da “finire (h)o”. Si è creato così un nuovo tempo futuro che non deriva direttamente dal futuro originario del latino. Questo tipo di futuro del siciliano è però ancora abbastanza avvolto dal mistero: secondo alcuni studiosi, questo si sarebbe sviluppato in Sicilia indipendentemente da altre zone in cui si parlavano altre lingue romanze; secondo altri invece in siciliano però questo futuro sintetico non si sarebbe sviluppato direttamente, ma sarebbe stato “importato” in Sicilia (peraltro a più riprese, quindi ha assunto nel tempo varie forme): è ad esempio ciò che sostiene Rohlfs 1966-1969.
Se in passato era molto diffuso in siciliano (Bentley, in un suo articolo del 1998, ci mostra che in un corpus, cioè una raccolta, di testi in siciliano antico, questo tipo di futuro compare in “oltre 1100 attestazioni”), successivamente ha cominciato a cadere in disuso e oggi rimane abbastanza usato nell’area del messinese (ma attenzione: ciò non significa che anche parlando in siciliano, i siculofoni non usino mai forme di futuro simili, anzi, oggi la tendenza è anche quella di fare calchi, “imitazioni” del futuro semplice dell’italiano, come mostrato da Amenta in un suo articolo del 2010). La modalità di formazione è sostanzialmente la stessa che per altre lingue romanza, <infinito + aviri (coniugato)>.
Di questo tipo di futuro abbiamo esempi illustri ad esempio nella poesia (toscanizzata) Madonna dir vi voglio di Jacopo da Lentini, che al verso 9 recita: “Dunque, moriraio eo?”. Quel “moriraio” (morirò) è ovviamente una parola siciliana con i suoni adattati alla toscana, l’originale era certamente una cosa del tipo “muriraju”, formata appunto da <infinito + aviri (coniugato)>, mòriri/muriri + aju.
Va detto che tutti questi tipi di futuro non sono equivalenti, ognuno è rivestito da una certa sfumatura di significato, e quindi a seconda della situazione se ne userà un tipo anziché un altro.
“E chi fazzu si àju bisognu d’usari u futuru sintèticu?“
Se si sente il bisogno di esprimere una sfumatura di significato per cui l’indicativo presente o la perifrasi con “aviri a” + infinito non sono sentiti come adatti, tanto nel parlato quanto nello scritto, ricorrere al futuro sintetico è semplicissimo: basta prendere l’infinito del verbo, togliere l’ultima -i e aggiungere le desinenze:
- -aju (come in Jacopo Da Lentini se si vuole rimanere più fedeli al futuro siciliano più plausibile e seguire un modello aulico) od -ò (desinenza proveniente dal toscano/italiano; anticamente si usava anche -oggiu, una desinenza con elementi misti del toscano e del siciliano);
- -ai;
- -avi o -à;
- -emu o -imu (la seconda però è meno usata);
- -iti;
- -annu.
Bibliografia
L. Amenta, Perifrasi verbali in siciliano, in J. Garzonio (a cura di), Studi sui dialetti della Sicilia, Padova: Unipress, 2010;
L. Amenta, N. Paesano, Strutture analitiche e sintetiche. Modalità e temporalità nel siciliano contemporaneo, in Cuadernos de Filología Italiana, 17, Madrid: Servicio de publicaciones, Universidad Complutense, 2010;
D. Bentley, Modalità e tempo in siciliano: un’analisi diacronica dell’espressione del futuro, in Vox Romanica, 57, 117, Berna: Francke, 1998;
Jacopo Da Lentini, Madonna dir vi voglio, reperibile su Biblioteca Italiana, realizzato dall’Università di Roma “La Sapienza” (link);
Ö. Dahl, V. Velupillai, The Future Tense, in M. S. Dryer, M. Haspelmath (a cura di), The World Atlas of Language Structures Online, Lipsia: Max Planck Institute for Evolutionary Anthropology, 2013
E. Magni, Linguistica storica, Bologna: Pàtron, 2014;
M. Napoli, Linguistica diacronica: la prospettiva tipologica, Roma: Carocci, 2019;
F. Núñez Román, Le perifrasi modali in siciliano antico, in Philologia Hispalensis, Siviglia: Facultad de Filología, Universidad de Sevilla, 2007;
G. Rohlfs, Grammatica storica della lingua italiana e dei suoi dialetti. Morfologia, Torino: Einaudi, 1968;
L. Sciascia, M. Padovani, La Sicilia come metafora. Intervista di Marcelle Padovani, Milano: Mondadori, 1979.
P.S.: si ringrazia la dott.ssa Chiara Aiello per la consulenza sulla lingua russa.
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