Andrea Camilleri e il suo particolare linguaggio

Il 17 luglio scorso ci ha lasciati alla veneranda età di 93 anni il maestro Andrea Camilleri, autore siciliano rinomato per la sua immensa produzione letteraria, venuto alla ribalta come scrittore dopo una lunga carriera da produttore televisivo in particolare grazie alla serie dedicata alle indagini del commissario Salvo Montalbano, diventato popolare anche grazie all’interpretazione di Luca Zingaretti nella serie RAI “Il commissario Montalbano”, nella quale sono stati trasposti in versione televisiva diversi dei romanzi scritti da Camilleri che vedono come protagonista questo personaggio ormai amato in tutto il mondo per la sua spiccata ironia, per la sua umanità e sensibilità, e per la sua sicilianità. Abbiamo deciso quindi di onorare la sua memoria un po’ a modo nostro, parlando del linguaggio usato in diverse sue opere, il quale ha contribuito a renderle famose.

Innanzitutto ci sembra che ci sia una prima questione da dirimere: Camilleri scriveva i romanzi del ciclo di Montalbano (ma non solo di questo ciclo) in siciliano o in italiano? Una prima cosa certa che possiamo dire è che alcune battute sono proferite dai protagonisti completamente in italiano, particolarmente in contesti formali, come ad esempio nell’estratto seguente, nel quale il commissario Montalbano si rivolge a Sileci e al dottor Osman:

«Mettiamo tre uomini ad ogni lato della passerella che fanno come un corridoio che porti i migranti direttamente allo sportello del pullman. Se questo metodo funziona, è chiaro che potremo in seguito ridurre il numero degli uomini impegnati negli sbarchi. Che ne dite?».
-A. Camilleri, L’altro capo del filo, Palermo: Sellerio, 2016

Per quanto riguarda il resto, sicuramente non si può parlare di siciliano. Vediamo insieme alcuni estratti.

«Si nni stavano assittati nel balconcino di Boccadasse, mutangheri, a godirisi la friscura della sirata. Livia era stata tutto il jorno d’umori malo, le capitava sempre accussì quanno Montalbano era ‘n partenza per tornari a Vigàta».
-A. Camilleri, L’altro capo del filo, Palermo: Sellerio, 2016

«Nei saloni, il chiacchiario tra i soci s’astutò a picca a picca fino a un relativo silenzio. Relativo pirchì don Anselmo Buttafava si era come al solito addrummisciuto supra alla pultruna addamascata nella quali s’assittava da trent’anni e passa e runfuliava accussì forti che i vitra del balcuni che aviva davanti trimoliavano a leggio».
-A. Camilleri, La setta degli angeli, Palermo: Sellerio, 2011

«Gnazio Manisco ricomparse a Vigàta il tri di ghinnaro del milli e ottocento e novantacinco, che era oramà quarantacinchino, e in paìsi nisciuno sapiva cchiù chi era e lui stisso non accanosceva cchiù a nisciuno doppo vinticinco anni passati nella Merica»
-A. Camilleri, Maruzza Musumeci, Palermo: Sellerio, 2007

«La sveglia sonò, come tutte le matine da un anno a ‘sta parti, alle setti e mezza. Ma lui si era arrisbigliato una frazione di secunno prima dello squillo, era abbastato lo scatto della molla che mittiva in moto la soneria. Ebbe perciò, prima di satare dal letto, il tempo di girari l’occhi alla finestra, dalla luce accapì che la jornata s’appresentava bona, senza nuvoli»
-A. Camilleri, La luna di carta, Palermo: Sellerio, 2005

Quelli che abbiamo riportato sono gli incipit di alcune opere del maestro più conosciute. Sicuramente, quello che salta immediatamente all’occhio, è che non è facile capire la fonte principale di questo linguaggio, possiamo però cominciare cercando di definirlo, dicendo che si tratta di un linguaggio artistico, un linguaggio creato apposta per produrre opere letterarie – potremmo definirlo un idioletto artistico-letterario, ma è un linguaggio che non trova riscontro completo nella realtà locutoria siciliana, se non per alcune caratteristiche. È un linguaggio che in un certo senso si avvicina alle lingue elfiche create dal Tolkien, se esaminato da un punto di vista funzionale e letterario, ma si discosta da queste ultime in quanto molto meno strutturato – Tolkien aveva costruito intere grammatiche delle lingue elfiche -, pensato per un’espressione molto più spontanea, nonostante comunque sia possibile individuare delle strategie ricorrenti. Dal punto di vista espressivo, il linguaggio di Camilleri si avvicina secondo noi molto di più alla tradizione dei grammelot, di cui nella contemporaneità ha fatto largo uso Dario Fo: si tratta di un linguaggio di fantasia utilizzato principalmente dai teatranti che unisce a parole inventate mescolando diverse varietà linguistiche anche suoni, onomatopee, espressioni facciali e posturali particolari, elementi che operano in coesione al fine di comunicare un particolare messaggio. Fatta questa premessa, passiamo all’analisi del linguaggio di Camilleri.

La base del linguaggio di Camilleri è senza dubbio l’italiano, un italiano modellato in maniera molto particolare con lo strumento del siciliano. Lo deduciamo dal fatto che quantitativamente le espressioni piene in italiano rappresentano la maggior parte delle composizioni.
Il siciliano viene usato per modellare questo italiano nei modi più disparati. Innanzitutto, quando una parola italiana e una siciliana sono molto simili, la parola italiana prende almeno una caratteristica della parola siciliana corrispondente: basti vedere la coppia formata dall’italiano “mattina” e dal siciliano “matina”, nella quale la parola italiana vede la riduzione della doppia T in una sola: nel quarto estratto leggiamo infatti “tutte le matine”.
Altre volte, se abbiamo parole molto simili tra italiano e siciliano, la parola siciliana corrispondente viene presa e il suo vocalismo, cioè le vocali che la caratterizzano, viene adattato a quello dell’italiano: si veda ad esempio il participio passato “abbastatu”, corrispondente all’italiano “bastato”, che prende un vocalismo tipicamente italiano, nel caso in questione la sostituzione della U finale con la O, e sempre nel quarto estratto leggiamo quindi “era abbastato”. In questa formula la base italiana viene tradita anche dall’uso del verbo ausiliare: nei tempi composti alla forma attiva, il siciliano usa sempre e solo il verbo aviri come ausiliare, e mai èssiri: in siciliano abbiamo infatti “avìa abbastatu”.
Altre volte ancora però non è semplice dire se Camilleri abbia voluto mantenere intatte dal punto di vista del vocalismo delle parole siciliane, o se abbia applicato il vocalismo siciliano a una parola italiana: è il caso dell’aggettivo “forti” nel secondo estratto, per il quale è difficile dire se sia stato preso dal siciliano e mantenuto tale, oppure se sia stato preso l’italiano “forte” e sia stata sostituita la E finale con la I tipica del siciliano.
Il discorso viene poi farcito con un numero relativamente basso di parole pienamente siciliane: nel primo estratto, ad esempio, su un totale di 38 parole, 3 parole sono pienamente siciliane, 8 risultano comuni sia al siciliano che all’italiano, mentre le restanti 27 sono ibridazioni tra siciliano e italiano, ibridazioni che però sono sbilanciate nelle loro caratteristiche più verso l’italiano che non verso il siciliano. Queste ibridazioni sono creazioni puramente letterarie, che non trovano riscontro nel parlato quotidiano dei siciliani; anche alcune combinazioni sono totalmente estranee ai siciliani – nessun siciliano direbbe mai, ad esempio, “il jorno” come si legge nel primo estratto, mischiando un articolo italianissimo e una parola ibridata con una desinenza non siciliana.
Attraverso questo linguaggio ibridato, che è sostanzialmente un italiano particolarmente colorito di siciliano, Camilleri riesce a far assaporare ai suoi lettori se non la Sicilia nella sua interezza, comunque la propria Sicilia, una Sicilia dalle molte sfaccettature e dai molti colori.

È importante, arrivati a questo punto, fare delle considerazioni circa il camilleriano e il siciliano.
Può il camilleriano essere considerato come linguaggio di riferimento per la letteratura in siciliano? Secondo noi è essenziale dire innanzitutto che il camilleriano è il personalissimo linguaggio artistico di Camilleri, la sua particolare tecnica scrittoria, un po’ come i pittori hanno la propria tecnica pittorica: un copista esperto può realizzare una copia iperfedele di un quadro di Kandinskij, di Giotto, della Gioconda di Leonardo, ma le sue copie resteranno sempre e comunque delle copie, delle imitazioni dell’originale; la tecnica, scrittoria o pittorica che sia, è qualcosa di molto personale, che nasce dalla propria esperienza personale e unica dell’arte, del mondo che ci circonda; ragion per cui, uno scrittore che volesse scrivere un’opera utilizzando il linguaggio di Camilleri non otterrebbe come risultato finale che delle imitazioni/parodie, perché quel linguaggio nasce e si sviluppa in un contesto diverso, e in un cervello diverso, che in quanto creatore di quel linguaggio sa come sfruttarlo al meglio per comunicare col lettore. Detto questo, essendo l’italiano la base del camilleriano e il siciliano solo uno strumento per affinarlo, la nostra risposta al quesito precedente è che no, il camilleriano non può essere considerato un linguaggio di riferimento per la letteratura in siciliano. Al contrario, è decisamente più auspicabile che chi voglia comporre opere letterarie in siciliano acquisti coscienza del fatto che il camilleriano è un linguaggio non replicabile che purtroppo se n’è andato via col suo creatore, e acquisisca consapevolezza della potenza espressiva del siciliano, che è già parte del nostro bagaglio espressivo, e impari ad affinarla per riuscire a comunicare in letteratura con la stessa potenza e coloritura.

Al di là di tutto ciò, noi come associazione che si occupa di lingua e cultura siciliana non possiamo che ringraziare di vero cuore tanto il maestro Camilleri quanto l’uomo Camilleri per ciò che ha fatto e ha dato per la cultura siciliana, e per averci fatto volare in alto nel mondo, contribuendo alla destigmatizzazione della nostra lingua, della nostra cultura, della nostra identità, nonché alla diffusione di importantissimi messaggi di tolleranza e rispetto nei confronti dell’altro, del diverso. La Sicilia ha perso un uomo dal calibro irraggiungibile, e riteniamo che tutti noi dovremmo tenerlo sempre a mente come modello, tanto nella vita quanto nell’arte.

Grazie, Maestro.

Letture consigliate

Per degli ulteriori approfondimenti sul linguaggio delle opere di Camilleri, consigliamo le seguenti letture:
M. Perasović, Realizzazioni sociolinguistiche nei romanzi e negli sceneggiati di Andrea Camilleri, tesi di laurea, 2011 (link);
Il Camilleri-linguaggio sul sito del Camilleri Fans Club (link);
J. Vizmuller-Zocco, Gli intrecci delle lingue ne L’odore della notte di Andrea Camilleri, in Spunti e ricerche. Rivista di italianistica (link).

Bibliografia e sitografia

A. Camilleri, L’altro capo del filo, Palermo: Sellerio, 2016;
A. Camilleri, La setta degli angeli, Palermo: Sellerio, 2011;
A. Camilleri, Maruzza Musumeci, Palermo: Sellerio, 2007;
A. Camilleri, La luna di carta, Palermo: Sellerio, 2005;
grammelot su Treccani – Enciclopedia on line (link).

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