Lingua siciliana e questioni di genere: una lingua “vincente”

In questo periodo sulla rete impazzano i dibattiti e i confronti sui rapporti tra lingua italiana e questioni di genere, un tema particolarmente sentito soprattutto in quegli ambienti che si occupano di lotte sociali a favore delle donne e della comunità LGBT, ma che non viene disdegnato neanche dagli addetti agli studi sul rapporto tra lingua e società, né tanto meno dalla gente comune: è un argomento che in qualche modo ci tocca tutti da vicino, quindi abbiamo pensato di porre delle riflessioni relativamente alla lingua siciliana.

Focus distaccato: lingua italiana e questioni di genere
Il rapporto tra lingua e società è sempre stato studiato con un certo interesse: se infatti la lingua sa influenzare il modo in cui percepiamo il mondo intorno a noi, questa percezione che abbiamo di ciò che ci circonda va poi a riflettersi a sua volta sulla lingua, che cerca per l’appunto di descrivere il mondo per come lo vediamo, creando una sorta di “circolo vizioso” dal quale può diventare difficile uscire. Tant’è che, quando si cerca di proporre dei cambiamenti nell’uso di una lingua o li si attua, spesso i parlanti cercano di intervenire sanzionando chi propone innovazioni nella lingua, per far sì che meglio si adatti a nuove visioni del mondo. La comparsa di queste visioni, del resto, è del tutto normale in quanto le società non sono immutabili nel tempo. Un uso nuovo della lingua è spesso percepito inizialmente come “inascoltabile” dai madrelingua, e perciò richiede un processo di “normalizzazione”, ossia una graduale accettazione da parte dei parlanti fino a quando, eventualmente, la novità non diventa consuetudine.

Nel tempo, con l’estensione di diritti precedentemente appannaggio di una categoria ristretta di persone, è cambiata la sensibilità non solo nei riguardi di determinate questioni sociali, ma anche nei riguardi dell’uso della lingua, al fine di usarla in maniera più conforme alla società in rapida evoluzione. Era il 1987 quando veniva pubblicato il testo Il sessismo nella lingua italiana di Alma Sabatini, linguista di natali romani che ci ha lasciati nel 1988: il testo, redatto per la Commissione nazionale per la parità e le pari opportunità tra uomo e donna, ha lo scopo di dare consigli ai parlanti (nessuna imposizione) per un uso della lingua italiana meno sessista, non solo nella morfologia e nella grammatica, ma anche nei contenuti. Fu un testo piuttosto criticato, ma è innegabile che ebbe la capacità di avviare un dialogo serio su una questione così importante.

Quanto è sessista la lingua siciliana?
Questo paragrafo si apre con una domanda su quanto sia sessista la lingua siciliana: una prima risposta, a nostro avviso, può essere la seguente: le lingue in sé e per sé non sono sessiste, bensì se ne può fare un uso più o meno sessista, più o meno inclusivo, e via dicendo, sfruttando strategie diverse, in particolare attraverso il lessico (è ben noto ad esempio che in italiano delle parole o espressioni di doppio genere possono avere un’accezione positiva se usate al maschile, e un’accezione negativa se usate al femminile). Posto che il tema è molto complesso e ancora molto poco studiato, in questa sede ci soffermeremo particolarmente sugli aspetti morfologici e grammaticali della questione. Pertinentemente perlomeno a questi aspetti, una seconda risposta alla domanda potrebbe essere: meno dell’italiano. Vediamo insieme perché.

Morfologia nominale e accordo del genere
Il siciliano, dal punto di vista morfologico, presenta alcuni vantaggi rispetto all’italiano: come sappiamo, anche il siciliano come altre lingue romanze mostra la distinzione dei sostantivi tra maschili e femminili. L’attribuzione del genere per quanto riguarda gli oggetti inanimati è, in prospettiva sincronica, arbitraria: non c’è un motivo per cui oggi l’acqua sia femminile, forse c’era in un passato molto lontano, agli albori delle lingue indo-europee, in cui si configuravano delle coppie oppositive mantenute fino ad oggi dal punto di vista del genere: l’acqua opposto a u focu, a luna opposto a u suli, opposizioni di cui noi oggi manteniamo alcuni retaggi.
Per gli esseri animati invece solitamente il genere viene attribuito sulla base delle caratteristiche biologiche. A tal proposito, una questione che il siciliano condivide con l’italiano è se i nomi di professione debbano essere usati al femminile quando certi incarichi sono ricoperti da donne. La risposta non può che essere , e non esistono motivi contrari validi per dire che, ad esempio, una donna alla guida di un ministero debba essere chiamata ministru anziché ministra: per quanto ad alcuni possa sembrare assurdo, il rispetto per le persone passa anche per queste sottigliezze, nonostante comunque si tratti spesso di scelte personali relativamente all’aderenza maggiore o minore alla tradizione.

Un’altra questione particolarmente sentita è quella dei plurali misti, ossia quei plurali usati per indicare gruppi di persone di ambo i sessi. In italiano la tendenza è quella di usare il femminile plurale se un gruppo è composto da sole donne, e di usare il maschile plurale se in un gruppo di donne vi è anche un solo uomo, più recente invece la tendenza a considerare da quale sesso è rappresentato un gruppo in maggioranza. Per l’italiano alcune tra le soluzioni proposte riguardano invece l’uso dell’asterisco, della lettera X o addirittura della schwa per sostituire l’ultima lettera. Da questo punto di vista, il siciliano in molti casi si dimostra meno specifico dell’italiano per quanto riguarda il genere, perché nonostante il singolare sia spesso differenziato per maschile e femminile, altrettanto spesso il plurale è invariabile in base al genere, e ha quindi un valore sostanzialmente neutro, non favorendo un genere sopra l’altro. Giuseppi àvi tri picciriḍḍi: ha tre bambini maschi, due maschi e una femmina, due femmine e un maschio, o tre femmine? Questa sorta di “genericità” è vantaggiosa in quanto, rispetto all’asterisco, la X o la schwa offerti come possibilità all’italiano, simboli che non hanno una pronuncia (a parte la schwa, che però in italiano non è/sarebbe contemplata), il plurale in -i del siciliano ha ovviamente una pronuncia, ed è quindi adottabile sia nello scritto che nel parlato.

A livello di accordo grafico di due forme, una maschile e una femminile, è facile trovare un compromesso in siciliano per quelle parole che al plurale hanno la radice in affricata/fricativa al maschile, ma in velare al femminile: per intenderci, amici (amici maschi) e amichi (amiche femmine). Come coniugare queste due forme in una? La forma più semplice è di certo amic(h)i, visto che tra le due vi è soltanto un carattere in più.

Flessione verbale
Questa neutralità che non dà rilevanza a un genere sull’altro in molti casi si estende anche al sistema verbale. Se tanto in italiano quanto in siciliano e in altre lingue forme verbali come il presente o l’imperfetto sono di fatto gender neutral, in siciliano lo sono anche gli altri tempi, ma in modi diversi. Il perfetto ha infatti la “comodità”, rispetto al passato prossimo dell’italiano, di adattarsi a tutti i sessi tanto al singolare quanto al plurale. Per intenderci: mentre iu partivi/partivu significa sia “io sono partito” che “io sono partita“, vuiautri partìstivu significa sia “voi siete partiti” che “voi siete partite“: forme uniche per tutti. Inoltre, nel passato composto (che, attenzione, non si usa come il passato prossimo in italiano!), il participio passato è invariabile per genere, così che un verbo coniugato come ànnu partutu ogni annu significa sia “loro sono partiti ogni anno” che “loro sono partite ogni anno”.

Oltre il sessismo
Il mondo è bello perché è vario, e ci sono persone che possono non riconoscersi nel proprio sesso biologico, o in nessuno dei due sessi biologici, o magari si riconoscono in alcuni aspetti tanto dell’uno quanto dell’altro. Purtroppo non abbiamo dati a disposizione per sapere come queste persone parlano di sé in siciliano, se adottano i classici maschile e femminile o se hanno sviluppato, anche magari a livello comunitario, delle strategie linguistiche per riferirsi a loro stessi senza per forza usare le categorie grammaticali prestabilite. Ovviamente non va esclusa la possibilità che parlino di sé solo in italiano. Fare delle proposte “dall’alto” però è molto difficile, in quanto si tratta di argomenti molto personali verso cui ognuno ha una propria sensibilità. Tuttavia, si potrebbero pensare diverse strategie. Una potrebbe essere l’uso di forme plurali cui viene assegnato valore singolare, similmente a quanto avviene con il they in inglese – anche se ciò potrebbe creare importanti problemi di coerenza grammaticale e di conseguenza una frase potrebbe suonare totalmente agrammaticale visto che l’accordo di genere è obbligatorio in siciliano e in questo modo le forme del plurale andrebbero a invadere posizioni che non spetterebbero loro. Una seconda soluzione potrebbe essere, relativamente all’adozione di pronomi specifici, quella di rispolverare forme che stanno velocemente cadendo in disuso ma che sono molto eleganti, come il vassìa/vussìa/assa, che è la forma di cortesia tipica del siciliano, che in un quadro tale assumerebbe un valore diverso. Una terza soluzione, sempre relativamente ai pronomi, potrebbe essere quella di recuperare delle forme dal latino e adattarle al siciliano (esempio: iddi, che è diverso da iḍḍi, dal latino id come pronome neutro). Ma queste soluzioni sono ovviamente mera speculazione, non sta a noi decidere come debbano identificarsi le persone, qualunque sia la loro identità di genere. Sarà, eventualmente, la lingua che deciderà se accettare determinate innovazioni o no.

In conclusione
Senza addentrarci in complesse questioni sociologiche e antropologiche analizzabili anche in prospettiva storica, in questo articolo abbiamo cercato di concentrarci brevemente sul sessismo linguistico, cercando di dimostrare come relativamente all’inclusività e al rispetto delle differenze il siciliano non sia in nulla inferiore all’italiano, anzi tutt’altro. Senza che ce ne accorgiamo, quando parliamo in siciliano abbiamo a disposizione tutti gli strumenti per condurre una conversazione che metta a proprio agio il nostro interlocutore, nel pieno rispetto delle differenze. A proposito molto c’è ancora da ricercare, e ci impegniamo a farlo nel prossimo futuro e a tornare sull’argomento.

Bibliografia
D. Baron, A brief history of singular ‘they’, blog dell’OED, 2018;
V. Gheno, Lo schwa tra fantasia e norma, in La Falla;
V. Gheno, Ministra, portiera, architetta: le ricadute sociali, politiche e culturali dei nomi professionali femminili (prima parte), in Linguisticamente, 2020;
C. Robustelli, Il sessismo nella lingua italiana, Treccani Magazine, 2012;
A. Sabatini, Il sessismo nella lingua italiana, Marcella Mariani, Edda Billi e Alda Santangelo, Presidenza del Consiglio dei ministri. Dipartimento per l’informazione e l’editoria.

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